Belonging in Anghiari – Elisa

Here is the last interview for this year.

Ecco l’ultima intervista per quest’ anno.

Appartenenza ad Anghiari – Elisa

Elisa è cresciuta a Firenze, la città natale della mamma, ma ha sempre mantenuto un forte legame con Anghiari, dove vive la famiglia del babbo, una famiglia molto numerosa. Adesso Daniele ed Elisa abitano con i genitori di lei nella loro casa in campagna, fuori Anghiari. Elisa è un’agronoma tropicalista e lavora in un’azienda del posto che produce macchine per l’agricoltura, il che comporta frequenti viaggi in Africa. Questa intervista si è svolta in italiano ed è stata poi trascritta e tradotta in inglese da Mirella Alessio. Questa ne è una versione editata.

ElisaSono nata a Firenze il 17 ottobre 1969, lì ho fatto tutte le scuole e l’università. Anghiari è sempre stata l’altra metà della mia vita perché la mamma è di Firenze, babbo di Anghiari. Loro si sono conosciuti a Firenze, si sono sposati e hanno abitato sempre lì, però per il forte legame che il babbo aveva con Anghiari, noi siamo sempre venuti qua. Da principio andavamo a dormire dalla nonna e poi il babbo ha comprato una casa, nel 1973, io avevo quattro anni, è la stessa casa dove abitiamo adesso, l’unica casa che io ho sempre visto perché invece a Firenze abbiamo cambiato diverse case e diversi rioni.

Nel periodo della scuola siamo sempre venuti qui, i fine-settimana e le vacanze. Il venire qua per noi ragazze, io ho una sorella di un paio d’anni più grande, era una festa, una gioia, noi non ci venivamo forzate, anche perché avevamo molti cugini, coetanei nostri, avevamo il gruppo, con cui giocare. Infatti abbiamo anche fatto delle amicizie ad Anghiari, però questo ha condizionato i rapporti con Firenze. Io e mia sorella ci sentiamo fiorentine, ma nonostante ciò non riuscivamo a condividere con gli amici di Firenze il tempo libero, soprattutto da quando a casa nostra a Anghiari è stato messo il riscaldamento, per cui potevamo venirci più spesso, anche d’inverno. Alcune delle storie d’amore più importanti che ho avuto, le ho avute con ragazzi di Anghiari e dintorni.

L’università l’ho fatta a Firenze, un’università particolare, io mi sono laureata in agraria tropicale ed era all’epoca l’unica facoltà del genere in tutta Italia. Quando hai 18 anni, finisci il liceo ti sembra di esser uscito da una gabbia, ti senti libero. Io in quel periodo mi ero lasciata con un ragazzo di Anghiari, avevo voglia di qualcosa di forte, di un cambiamento, però ero abbastanza disorientata. Da sempre la mia passione era per la natura e gli animali, mi viene dal babbo che per anni ha guardato tantissimi documentari in TV, soprattutto sulla fauna e sui parchi nazionali africani e mi sarebbe piaciuto fare zoologia tropicale che però era solo a Roma. Babbo mi disse che l’università fuori casa costava, ma se proprio avessi voluto mi avrebbero sostenuto. Quindi l’alternativa fu agraria tropicale: nella guida alla scelta delle facoltà la prima pagina era agraria tropicale, ed il primo della relativa lista di esami era l’esame di tecniche irrigue dei paesi aridi e io già mi immaginavo che avrei risolto problemi per i bambini, i villaggi e con questo sogno feci la scelta.

Ho finito l’università tardi, anche se per un periodo non breve ho lavorato e studiato, ci son voluti anni… non ho ancora fatto pace con questo. Comincio abbastanza bene, una media di voti molto alta e poi a un certo punto comincio a rallentare, a perdermi. Poi a 32 anni, dato che sono testarda, nonostante avessi perso l’entusiasmo e smarrito il senso della scelta fatta, la tesi all’estero almeno la volevo fare e sono andata in Tanzania, due mesi e mezzo. Lì mi è ripartita la passione, ero completamente affascinata da questa esperienza africana diversa dalla storia della mia famiglia. E cosa succede in quel momento al mio rientro, quando volevo trovare il modo di ripartire di slancio con gli studi per concludere e collaborare con questa ONG che mi aveva ospitato? Mi arriva la proposta dei miei zii di lavorare in ditta Busatti.

Io ci avevo sempre lavorato, sin da piccolina, perché la nonna materna, Francesca, ci portava d’estate alle fiere a Rimini o anche a Sanremo, potevamo farci un po’ di mare ed intanto imparare qualcosa del lavoro ed aiutare la nonna. Io infatti non ho mai fatto molte vacanze perché per i miei nonostante non avessero un cattivo stipendio, non era così facile trovare risorse economiche per le vacanze avendo oltretutto già una casa di villeggiatura che era ad Anghiari. Ho cercato dunque sempre, quando gli zii proponevano dei lavoretti, di farli per guadagnare qualcosa finché appunto mi hanno fatto una proposta più strutturata e sono andata a lavorare nel negozio di Arezzo. Ho accettato perché, nonostante la rinvigorita passione per l’Africa post viaggio in Tanzania, sentivo l’esigenza di alleggerire i miei dal peso economico di mantenermi e volevo un minimo di indipendenza economica.

Era il 2002 e avevo 33 anni. Facevo la pendolare in treno da Firenze, a un certo punto abitavo un po’ a Firenze e un po’ ad Anghiari, finché nel 2008 gli zii mi hanno chiesto di passare da 20 a 32 ore la settimana, e così ho ridotto ancora il numero di ore da dedicare allo studio. Mi sentivo utile, con una certa responsabilità, mi hanno affidato il negozio. C’era però un conflitto in me: questo lavoro c’entrava con la mia storia personale e familiare, ma non aveva attinenza con quello che io volevo essere. Il mio obiettivo era finire l’università e finalmente mi è riuscito. Circa dieci mesi dopo quando avevo 40 anni, mi è arrivata casualmente una proposta di lavoro dalla Nardi, un’azienda storica di macchine per l’agricoltura, dove attualmente lavoro all’ufficio estero.

Daniele l’ho incontrato a Milano, sette anni prima di sposarci, a un evento organizzato dalla mia amica Barbara che ho conosciuto in Tanzania. La prima volta non mi è piaciuto. Daniele è molto buffo, strano, siamo totalmente diversi, ma crediamo e speriamo che la nostra diversità sia la nostra forza. È grazie alla diversità che riusciamo a trovare una soluzione nei conflitti. Facciamo fatica sulla gestione del tempo libero. Io sono natura, campagna, escursioni mentre lui è un intellettuale puro, il suo svago è la lettura. Anche a me piace leggere, ma da quando lavoro, dopo nove ore in ufficio ho bisogno di muovermi. Inoltre non riesco a curare la casa come vorrei, avere tempo per Daniele, per acculturarmi. Sto leggendo drammaticamente sempre meno, devo colmare alcuni gap che ho, le lingue ad esempio a cui dò la priorità, ma sento una frustrazione perenne perché so poco di politica, di storia, del sociale, di tutto insomma. Mi interessano molto le persone e quindi anche quando potrei acquisire delle informazioni di cultura generale da una conversazione tendo a fare domande personali: a me interessa quello che tu hai da raccontarmi.

Avevo 37 anni quando è finita una relazione molto importante, sono entrata in una profonda crisi, è stato uno scivolare progressivamente in un baratro che mi ha portato, essendo sempre più sola, a guardarmi dentro in una maniera che non avevo mai fatto prima. A quell’età lì i tuoi amici sono tutti sistemati, sposati, con bambini piccoli, tu ti trovi non allineato, la gente ha la propria vita. Mi sono scoperta sola, debole, fragile, insicura. È durato tre anni. In tutto questo casino, Tommaso, un Piccolo Fratello del Vangelo che avevo incontrato in Tanzania, mi ha dato degli spunti di riflessione, tra questi Martin Buber (Il cammino dell’uomo), una lettura incredibile. A seconda di dove sei nella vita quando senti la domanda: ‘Dove sei, Adamo?’ ogni volta ti parla. È bello che non sia un libro per cattolici ma di respiro universale, sovra-religioso direi.

Quando con Daniele abbiamo cominciato a frequentarci gli ho fatto come regalo questo libro. Lui che era in una sorta di ricerca religiosa aveva chiesto tempo prima a una suora amica sua qualche lettura di spunto per ricominciare a dialogare con se stesso e lei gli aveva consigliato proprio questo libro, ma lui non l’aveva ancora comprato e quando io gliel’ho regalato, dieci giorni dopo, senza sapere niente lui è rimasto colpitissimo e gli è piaciuto molto tra l’altro. È un simbolo importante per noi.

Nei tre anni dopo il nostro primo incontro, io ho lavorato su me stessa, ho cominciato a considerare la fragilità, la diversità, il non convenzionale, la stravaganza come qualcosa di arricchente e Daniele è assolutamente non convenzionale… Nel frattempo lui ha fatto un grave incidente di macchina, e dopo quell’evento è cambiato, adesso purtroppo è tornato come era, una persona totalmente incapace di essere nel momento presente qui e adesso, ma ora lo so gestire. Dopo l’incidente è completamente rallentato, ricordo una lunga, calma, bella telefonata, rilassata che mi ha messo voglia di rivederlo. Ci siamo visti era dimagritissimo e camminava zoppicando e mi ha fatto una tenerezza… È stato un po’ un ricominciare insieme, ognuno con una propria vita, da quel giorno abbiamo cominciato a parlare tutti i giorni, non abbiamo smesso più e adesso siamo sposati. Non è stato facile, non è facile il matrimonio, è un piccolo miracolo.

Il mio legame con Anghiari viene dal legame con la famiglia di mio padre che è sempre stata preponderante, rispetto alla famiglia della mamma, più semplice e con meno parenti. La famiglia del babbo è avvolgente, sono in tanti e in più mantengono rapporti anche con parenti lontani. Anghiari per me era il posto del divertimento, amici, fidanzati, tempo libero, stare con i miei cugini. Io ho una passione per la natura e il territorio, le colline, fin da piccola, col babbo andavamo a cercare funghi, ma ho scoperto tanto da sola, con la moto, piccoli tesori, un’edicola di una Madonna, una tomba, una lapide di una mamma e bambina fucilate dai tedeschi, vicino al castello di Pietramala, che ormai è un rudere, in mezzo al bosco, per andare verso Arezzo. Nel nulla trovi questa lapide che fa una tenerezza pazzesca, lì c’è stata vita, famiglie, storie che nessuno ricorda più… sono delle scoperte, un piccolo stagno per fare il bagno, un punto panoramico molto bello.

Il paese è il posto del riconoscimento dell’identità, si sa chi sei e si sa da che famiglia vieni e questo aiuta chi viene dalle famiglie ‘buone’, penalizza invece chi viene da famiglie con dei problemi, perché in paese non viene perso niente, la tua storia personale sarà sempre nella memoria di tutti. È molto difficile per me, ma forse chi ci vive sviluppa degli anticorpi.

Comunque Anghiari ha una dimensione che è bella. Alcune case nella parte antica son vuote, ma ci sono abbastanza abitanti per avere un minimo di relazione. Non è più come quando era piccolo il babbo, ed Anghiari vecchio era molto abitato, ma non è artefatto, è autentico, e questa vita vera tu la senti e l’apprezzi tanto e ti senti un privilegiato a stare in un posto così. Io e Daniele avevamo una vista meravigliosa, la casa dove abbiamo abitato per cinque anni nel centro storico era piccola, ma aveva una vista incredibile, mi fermavo sulla terrazzina e mi chiedevo come fosse possibile avere una casa da cui potevo vedere tutto quel panorama. Quando dovevo pensare a un giro in moto da fare, mi affacciavo e vedevo tutti i monti come una mappa, così mi immaginavo dove potevo andare. Anghiari vecchio è così riparato, è un nido, è bellissimo anche per come è disposto, la cerchia di mura più esterna, poi quella vecchia, più interna, ti senti raccolto e protetto.

Io per il paese sono sempre stata ‘la fiorentina’, mi prendevano in giro per come pronunciavo certe parole, ero una straniera però sono parte della storia di qua. Adesso quando vado a Firenze mi sento smarrita, mi sembra una metropoli, ma mi piace la dimensione dell’anonimato, nessuno sa niente di me e questo ti fa respirare, ti dà un senso di libertà, di poter essere una pagina nuova ogni volta, scrivere qualcosa di diverso. A Firenze, che è una città di arte, di respiro internazionale, gli stranieri non li noto, non mi infastidiscono, so come evitarli.

Qua d’estate quando arriva la Southbank Sinfonia, tutti questi stranieri li vivi come una cosa estraniante. Non è come San Gimignano, Pienza… Secondo me Anghiari non sarà mai come San Gimignano, perché gli anghiaresi hanno una identità molto forte, un attaccamento al loro paese speciale, che aprono molto volentieri, ma non vogliono uno stravolgimento della loro identità, della storia, e la creazione di tutte quelle infrastrutture che devi prevedere per tanti turisti. La cosa curiosa degli stranieri che vengono qua è una sorta di maggior rispetto e interesse per la cultura locale rispetto a quelli che vengono a Firenze.

I turisti sono stati utili per recuperare le case abbandonate in collina, case abitate fino agli anni ’50 -’60, poi c’è stato uno sviluppo nelle industrie in Val Tiberina ed un esodo dalle zone agricole più remote. Chi abitava nelle zone di collina più alta dove poteva fare un po’ di agricoltura, legna, qualche prodotto accessorio, funghi, allevamento, formaggio viveva di questo, ma a fatica. Quando si è creata la possibilità del lavoro in fabbrica, molti hanno lasciato queste case, i figli non avevano intenzione di rientrare una volta finiti gli studi, le case sono state abbandonate. È stata un’opera di recupero molto importante, alcuni, soprattutto stranieri, hanno avuto i mezzi per farlo e anche una certa passione per la vita isolata anche se è vero che quando vieni in vacanza ti puoi permettere di avere una casa isolata a dieci chilometri dal paese con una strada brutta per arrivarci, se devi andare a lavorare è diverso. Quindi i turisti sono stati utili per recuperare questi casolari, qualcuno lo ha fatto in maniera più rispettosa, qualcuno un po’ meno, ma non si può avere tutto.

Per quanto riguarda la ditta Busatti questo è un momento di passaggio molto importante dalla vecchia alla nuova generazione, i miei cugini, ma mi sembra di vederli abbastanza in armonia e determinati. Loro si trovano a affrontare una grossa sfida, devono imparare anche il lavoro… quindi ancora gli zii sono coinvolti, soprattutto la zia Paola, la moglie di Nanni, lei in ufficio è una presenza fondamentale, una donna di grandi capacità ed è veramente una colonna, come la zia Elena in negozio….

Per ora son contenta di abitare in campagna, però devo dire che abitare nel centro storico mi è piaciuto moltissimo e nella mia vecchiaia mi vedo in Anghiari vecchio, verso i giardini del vicario, la parte più remota dove c’è una vista bellissima, e la sera, una dimensione surreale, è tutto un mistero.

Belonging in Anghiari – Elisa

 Elisa grew up in Florence, her mother’s hometown, but has always had strong connections with Anghiari and her father’s extended family who live here. She and her husband, Daniele, are currently living with her parents in the countryside outside Anghiari. Elisa is a tropical agronomist, and she has a job in a local agricultural equipment company that involves frequent trips to Africa. This interview was conducted in Italian, and transcribed and translated into English by Mirella Alessio. This is an edited version.

I was born in Florence, on the 17th October 1969, I went to school there, and university. Anghiari has always been the other half of my life, because my mum is from Florence and my dad from Anghiari. They met in Florence and lived there after they married. Although we lived in Florence, because of the strong bond dad had with Anghiari, we came here a lot. At the beginning we slept at grandma’s place, then in 1973 dad bought this house where we live now. I was 4, it is the only house that has been constant in my life, because in Florence we moved houses and suburbs.

When we were at school we always came here on weekends and during the holidays. Coming here was a joy for us girls – I have a sister who is a couple of years older than me – we were not made to come, it was fun, lots of cousins our age, we had a group to play together. In fact, we also made friends in Anghiari, but the time spent here affected the relationship we had with Florence. My sister and I felt fiorentine, but even so we couldn’t share any free time with our friends in Florence, especially after we installed a better heating system in Anghiari so we could spend more time here also in winter. Some of the most important love stories I had were with boys from, or around, Anghiari.

After finishing high school, I went Florence University to study an unusual subject, tropical agriculture – at the time it was the only uni to offer this kind of course in the whole Italy. When you finish high school at 18 it feels like coming out of a cage, you feel free. I had ended a relationship with a guy in Anghiari, and I wanted something strong, a change, but I was rather disoriented. I had a passion for nature and animals, which came from my father who watched TV documentaries on fauna and African national parks, and I would have liked to study tropical zoology, but this was only available in Rome. My father reminded me, albeit declaring they would have helped, about the cost of studying away from home. So, I chose agriculture: the first page of the faculty guide was ‘tropical agronomy’, and the first exam listed was ‘irrigation systems for dry lands’ and I saw myself solving children’s problems, villages, and with this dream, I made my choice.

I finished university late, it took years … I haven’t come to terms with this yet. I started quite well, with an average of very high marks, and then at one point I started to slow down, to get lost. Then when I was 32, since I am stubborn, I decided that at least I wanted to write the thesis abroad, so I went to Tanzania for a couple of months. There the passion came back, I was totally fascinated by my African experience, so different from my family history. And what happened at the moment I returned, when I wanted to throw myself again into finishing my exams and collaborating with this NGO who had hosted me? I received a proposal from my uncles to work at Busatti.

I had always worked there, since I was a kid – in summer our grandmother, Francesca, took us to fairs, in Rimini or Sanremo, a chance for us to go to the sea and at the same time learn something about the job and help grandma. In fact, I have never had many holidays, because, although our parents didn’t have bad salaries, it wasn’t so easy to find the financial resources for holidays, and we had a holiday home in Anghiari. I always tried to help when my uncles offered me small jobs, and I could earn something. Then they made me a more formal proposal and I went to work in the Arezzo shop. I accepted because, despite my passion for Africa, I felt the need to lighten my parents of the financial burden of supporting me, and I wanted some economic independence.

It was 2002 and I was 33. I did a lot of commuting by train from Florence; at one point I lived partly Florence and partly in Anghiari, and then, in 2008, my uncles asked me to change from 20 to 32 hours a week, and so I had to cut down even more the number of hours I dedicated to my studies. I felt useful, with some responsibility – they entrusted me with the shop. But there was a conflict inside me: this job had a connection with my family and personal history, but had nothing to do with what I really wanted to be. My goal was to finish uni, and finally I succeeded, and after 10 months, when I was 40, by chance, I had a job proposal from Nardi, a historic company that manufactures agricultural machinery. I work now at the foreign desk.

I met Daniele in Milan, 7 years before we got married, I saw him at an event organized by Barbara, a friend I had met in Tanzania. I didn’t like him at first. Daniele is very funny, odd, we are totally different. We believe and hope that our differences are our strength.  It’s thanks to these that we can find a solution in our conflicts. It is harder when it comes to managing our free time: I am all nature, countryside, outings, while he is a pure intellectual, his pastime is reading. I also like reading, but after 9 hours in the office, I need to move. Another problem is time management: I can’t take care of the house the way I would like, have time for Daniele, and also educate myself, so I am reading less and less. I want to fill some of the gaps I have, but, for example, I prioritize learning languages, and I feel constantly frustrated – I don’t know anything on history, politics, social issues. I am very interested in people, and so, even when, in a conversation, I could acquire information about general knowledge, I tend to ask personal questions: I am interested in what you have to tell me.

At the age of 37, with the end of an important relationship, I entered a deep crisis. I progressively disappeared in an abyss, spending more and more time alone, searching inside myself in a way I had never done before. At that age all your friends have a family, small kids, they have their own lives; I didn’t conform. I found myself alone, fragile, insecure. It lasted 3 years. During this messy period, Tommaso, a Piccolo Fratello del Vangelo I had met in Tanzania recommended an amazing book by Martin Buber [The Way of Man]. Wherever you are in life, when you hear the question ‘Where are you, Adam?’ it speaks to you. The beauty of it is that it is not a catholic book – it has a universal dimension, I would say above religions.

When Daniele and I started to see each other I gave him this book as a present. He was going through a kind of religious quest, and he had asked a nun, a friend of his, for some suggestions on books to start a dialogue with himself, and she suggested precisely this book. Without knowing this, I gave it to him 10 days later, and he was really impressed and, by the way, he liked it a lot. For us it is an important symbol.

In the 3 years following our first encounter, I had been working on myself, and I started to consider fragility, diversity, unconventionality, as enriching, and Daniele is very unconventional…. Then he had his big car accident and after that event, he changed, but now unfortunately he has gone back to be what he was – a person unable to be in the present moment – here and now -but now I know how to manage this. After the accident he slowed down – I remember a long, calm, relaxed beautiful phone call that made me want to see him again. And when I saw him, he was very skinny and walked with a limp, and I felt a lot of tenderness towards him. We started anew together, each with our own story … that day we started to talk and we have talked every day since, and now we are married. It hasn’t been easy, marriage isn’t easy, it is a small everyday miracle.

My bond with Anghiari comes from the bond with my father’s family that has always been prevalent over that with my mother’s family, which is simpler and with fewer relatives. My father’s family is enveloping; there are a lot of them, and they also maintain relationships with distant relatives. For me, Anghiari was a place of fun, boyfriends, friends, free time, being with my cousins. I have a passion for nature, the land, the hills – I used to go as a child to pick mushrooms with my dad, but I also discovered a lot by myself, going around on my bike, small treasures, a chapel with a Madonna, a tomb, a stone commemorating a mother and daughter shot by the Germans near Pietramala castle, a ruin now, in the middle of a wood, towards Arezzo. In the middle of nowhere you find this stone, it is very moving to think that there was life, there were families, stories nobody remembers anymore … there are discoveries to be made, a small pond to swim in, a panoramic viewpoint.

The village is the place where your identity is recognized, people know who you are, which family you belong to, which is OK if you come from a ‘good’ family, not so good if your family had problems – in the village nothing gets lost, your personal story will always be in everybody’s memories. I find this difficult, but perhaps people who live here develop antibodies.

However, Anghiari has a dimension that is beautiful. Some houses are empty in the old part of town, but there are enough inhabitants to have a minimum of a relationship. It is not like it was when dad was a kid and Anghiari vecchio was densely populated, but it is not a fake, it is authentic, – you can still feel and appreciate an authentic life, and feel privileged to live in a place like this. Daniele and I lived in the centre for 5 years. We had a wonderful view: our house was small, but I would step onto the little terrace and wonder how it was possible that I had a house from where I could see all that panorama. When I was planning a bike tour I wanted to do, I went to the window and I could see all the mountains, like a map – so I imagined where I could go. Anghiari vecchio is so sheltered, it is a nest; it is very beautiful also for its layout, the outside city walls and then the inner walls, you feel protected.

For the town, I was always ‘la fiorentina’, they made fun of the way I pronounced certain words; I was a foreigner, but also part of the history here. Now, when I go to Florence, I feel lost, it seems like a metropolis. But I like the anonymity, nobody knows anything about me and because of this one can breathe, it gives you a sense of freedom, one can be a new page every time and something different. In Florence, a city of art, with an international flair, I don’t notice the tourists, they don’t annoy me – I know how to avoid them.

Here in summer, when the Southbank Sinfonia arrives, all these foreigners arrive, it can be a little alienating – there are a lot of them. It’s not like San Gimignano or Pienza… . In my opinion, Anghiari will never become like San Gimignano, because the anghiaresi have a very strong identity, an attachment to their special town. They are very happy to open it up, but they don’t want a distortion of their identity, their history, and the creation of all the infrastructure one has to plan for lots of tourists. The interesting thing about the foreigners who come here is that they seem to have more respect for and interest in local culture than those who go to Florence.

Foreigners were useful in salvaging the abandoned houses in the hills, where people lived until the ’50s,’60s. Then there was industrial development in Val Tiberina and an exodus from the most remote agricultural areas. Those who lived high up in the hills had a bit of agriculture, wood, mushrooms, farming, cheese … but it was hard. Then, with the possibility of working in factories, many left these houses, their kids went to school and didn’t come back once they finished their studies, and the houses were abandoned. It has been a very important work of salvaging; some people, mainly foreigners, had the means to do it and also a certain passion for a life in isolation, even if it is true that if you are here on holiday it is ok to live in a house 10 km away from town with a rough road to get there – if you have to go to work it is different. So, tourists were useful in saving these farmsteads, some did it in a more, others in a bit less, respectful way, but you can’t have everything.

Regarding Busatti, this is an important moment of passage from the old to the new generation, my cousins, who are taking over the running of the company. It seems to me they are quite in harmony and determined. They are facing big challenges, learning the job … so the uncles are still involved, and Auntie Paola, Nanni’s wife, is a fundamental presence in the office, a woman of great capacity, like Auntie Elena in the shop ….

For now, I am happy living in the countryside, but I must admit that I liked living in the old centre very much and, in my old age, I see myself in Anghiari vecchio, near the vicar’s gardens (i giardini del vicario), the most secluded part, where there is a beautiful view and, in the evening a surreal dimension, and everything is a mystery.

Ann and Mirella

 

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