In 2017, I began conducting interviews with people who live in Anghiari. Some were conducted in Italian, some in English, and they were all published in both languages on this blog. While in Anghiari earlier this year I continued this project. These interviews will also be published in both languages.
Il senso di appartenenza ad Anghiari – Paola Foni (Parte 1)
Paola e suo marito Paolo si sono trasferiti ad Anghiari subito dopo il matrimonio nel 1983 e vivono ancora nella casa dove hanno cresciuto i loro tre figli. Paola ha studiato biologia, ma ormai da vent’anni fa la spazzina ad Anghiari. È famosa per il suo sorriso e la sua gioia di vivere. Ogni mattina la puoi vedere mentre balza dentro e fuori la sua Ape o intorno alla piazza dove spazza muovendosi con una tale grazia che sembra stia danzando. La lunga intervista è stata divisa in due parti. Nella prima sezione Paola racconta la storia della sua famiglia, mentre nella seconda parla del suo lavoro e della sua relazione con Anghiari. L’intervista si è svolta in italiano, poi è stata trascritta e tradotta in inglese da Mirella Alessio e questa ne è una versione editata.
Io sono nata a Sansepolcro nel 1957, il 10 di giugno. Provengo da una famiglia di, diciamo, operai, mio padre era un bravissimo muratore, la mamma è stata casalinga, poi ha lavorato assieme a una zia per delle confezioni per il mare, cappelli, borse e quant’altro. Io sono vissuta in casa con i nonni paterni, il nonno Domenico e la nonna Mabilia, è stato un rapporto molto importante quello che io ho avuto con i nonni, specialmente con la nonna paterna.
I miei nonni, tutti e due, erano contadini da tante generazioni, e loro, per dinamiche familiari un po’ problematiche, sono venuti via dal podere, dalla grande casa, nel 1955. Per il nonno in particolare fu un trauma molto grosso questo, perché lui era abituato tutta una vita a lavorare la terra, ad essere il capofamiglia di una famiglia patriarcale, in quanto era il figlio più grande. All’improvviso si ritrovò fuori da questo contesto e fu una botta pesante, caratterialmente, era una persona che si abbatteva molto facilmente. Invece la nonna, la nonna Mimma, per noi famigliari, era una persona molto reattiva, piena di risorse, io in molte situazioni mi ci rivedo. Andarono a stare in questa piccola casa nuova che mio padre aveva fatto, anche con una sorella di mio padre che era nubile.
Mio padre aveva un’altra sorella, più grande, l’orgoglio un po’della famiglia, perché lei era laureata in lingue all’università di Firenze, nel 1942, a venti anni si laureò. Poi dopo la guerra, mentre lavorava come interprete a Perugia, conobbe il suo futuro marito, che era un ufficiale americano, rumeno di origine tedesca. Lei andò con questo marito in America, in Pennsylvania. Mio zio era professore di tedesco all’università, al Wilson college a Chambersbur. La zia è stata una femminista e amava i libri, negli anni ’70 era una libraia specializzata in testi sulle artiste donne. Nella libreria del Congresso c’è un fondo intestato a Cesi Kellinger dove ci sono tutti i suoi libri che lei ha donato.
Questo diciamo la mia famiglia di parte paterna. Poi dopo, da parte di mamma, era una famiglia che aveva dieci fratelli, questa grande famiglia con tutti questi zii…ritorniamo a noi!
Io nasco dopo due anni che il nonno e i miei genitori sono andati ad abitare in questa casa, e io sono cresciuta con questi due nonni che avevano un orto grande, e da piccina sempre dietro a loro, tra queste piantine, mi piaceva tanto, mi piaceva molto, mi piaceva, e i primi rudimenti della botanica li ho imparati con loro, a riconoscere le piantine… quasi un sesto senso. Poi la nonna m’imparava i lavori femminili, perché ancora c’era lavori strettamente maschili, lavori strettamente femminili. E quindi, insomma, mi ha imparato a fare la pasta, tagliatelle, a cucire…
E io ho dei ricordi belli fintanto che, io non capivo molto bene, ma io avvertivo il disagio in casa, quando questa zia rimase incinta. Negli anni sessanta avere un figlio fuori dal matrimonio era una cosa… non una festa, com’è normale che sia. Questa zia fu mandata a partorire a Narni, sotto Perugia, perché non si doveva vedere, poi, dopo un paio d’anni, tornò su a casa, con lo scontento della mamma, della mia nonna, le dinamiche famigliari molto tese. Poi ristrettezze familiari, perché eravamo in sette, lavorava mio babbo solo. E quindi ricordi, tutto sommato, luci ed ombre.
Io sono andata a scuola e alla fine della prima elementare, mi sono ammalata, non si sa perché, sono arrivata ad avere i parametri del sangue proprio quasi a zero, mi hanno portata all’ospedale ad Arezzo facendo una diagnosi di leucemia e dicendo a mio padre che sarei vissuta quattro mesi. Fu uno choc per tutta la famiglia, il mio babbo perse i capelli. Io sono rimasta in ospedale per più di due mesi, dopo tornai a casa per due mesi. Poi sono ristata in ospedale e poi inspiegabilmente, questa che poi fu conosciuta come aplasia midollare, io sono ripartita e non ho più riavuto problemi di salute.
Poi questa vita di famiglia continuava… poi nel ‘65 nacque la mia sorella, di otto anni più piccola di me, e fino al ‘66, quando morì questo nonno che nel frattempo aveva avuto il Parkinson e altri problemi di salute. La convivenza con la zia e con il cugino dura fino al 1968 quando la zia andò come dama di compagnia dalla mamma di un politico locale. La vita era un pochino più tranquilla, la nonna era serena. Fintanto che nel ‘69 la nonna è morta all’improvviso e io questo…per me è stato un grosso trauma, perché poi l’ho trovata io. Io, bambina, vedere questa nonna così, in terra, e non mi rendevo conto che c’era stato l’evento “morte”. La nonna muore che io avevo dodici anni. Decido di andare al liceo scientifico a Sansepolcro. Quindi ho fatto i cinque anni, ho preso la maturità scientifica, mi sono iscritta all’università a Firenze e ho fatto biologia, mi son laureata.
E poi nel frattempo, in terza, avevo conosciuto il mio futuro marito Paolo, lui è di Pieve Santo Stefano, lui lavorava ad Arezzo, era operaio tornitore. Quando ci siamo conosciuti, subito ho dovuto presentarlo ai miei genitori, perché non si poteva stare al di fuori e quindi noi si dice: “L’ho portato in casa”. Nel ’83 ci siamo sposati, l’anno che mi son laureata.
Nel frattempo era iniziata la casa qui ad Anghiari, dove noi abitiamo tuttora, è stata iniziata nel ’76. Il babbo, aveva una società con un altro amico, vennero qua a Anghiari a fare i lavori finali per una casa, c’era questo terreno e loro cominciarono a costruire questa casa pensando di rivenderla, poi dopo, parlando tra di loro, l’hanno tenuta per le loro famiglie. E da lì è venuto fuori il perché noi, da Sansepolcro e Pieve, siamo venuti ad Anghiari. In questa casa noi abbiamo fatto tanti lavori, i nostri momenti di tempo libero, la sentivamo come la nostra casa, come il nostro nido di futuri sposi. Quindi il sabato, la domenica, le ferie eravamo sempre a fare tanti, tanti lavori. Poi questa casa piano piano è finita.
Io ho finito gli studi, ci siamo sposati il 26 di giugno del 1983, io mi sono laureata l’otto di luglio dell’83 e l’undici di luglio mio babbo cade da un tetto, cade, cade da un tetto, si. E lì per lì sembrava che la cosa fosse risolvibile, aveva avuto una piccola lesione alla colonna vertebrale, con riposo, con attenzione, si risolve. È stato in ospedale, poi è tornato a casa, con un gesso che non poteva muovere la schiena. Il 27 luglio comincia a stare non bene, aveva dei dolori. Sicché io chiamo la guardia medica: “Dolori intercostali, con questo gesso”. La mattina successiva chiamiamo il medico curante, stessa risposta. Passa il pomeriggio, passa, alle sette, la situazione non migliorava, si chiama l’ambulanza, nel frattempo comincia a stare male veramente, arriva l’ambulanza, io vado con lui sull’ambulanza, lo portiamo all’ospedale, mi muore sotto gli occhi, il mio babbo, mi muore. E… questa sì, sì… io ho chiuso gli occhi al mio babbo e questo è stato l’evento che, nella mia vita, è stato uno spartiacque, il prima e il dopo. Perché questo babbo, con il quale avevo un rapporto, era un uomo intelligente, con lui io potevo parlare di tutto. Anche quando lui aveva la ditta, andavo ad aiutare, io tornavo dall’università, andavo con lui a legare il ferro per i pilastri di ferro, di cemento armato, a volte gli andavo a prendere le persone che lavoravano con lui. Si era creato questa collaborazione.
Quindi abbiamo dovuto chiudere la ditta, pagar i fornitori, pagare gli operai… In casa la situazione era una tragedia, perché la mamma era legatissima a questo babbo quindi la perdita di quest’uomo giovane, fu devastante. Lei aveva 53 anni, mia sorella aveva diciassette anni… e quindi una tragedia. Noi, novelli sposi, siam dovuti rimanere a casa fino a dicembre, con la mamma e con la sorella. Poi siamo venuti qua nella nostra casa e poi si è annunciata la nostra prima figlia Luisa, è stata la prima gioia. E però io… nel frattempo era cambiato il mio modo di vedere la vita, perché prima davo importanza più alle cose esteriori. Dopo la morte dal babbo, il mio motto è stato quello che: “A tutto si rimedia, per tutto c’è una soluzione, solo che alla morte”, la perdita di una persona cara, per quello non c’è nessuna soluzione, c’è solo una perdita e tanto dolore e un cambiamento proprio di vita, un cambiamento. Si annuncia Luisa…
Allora trovare lavoro come biologo in val Tiberina sarebbe stato difficile, ma comunque è stata una scelta: io volevo seguire la mia figliola. Poi nasce Fabiola, la mia seconda figlia, nasce. Io faccio la mamma, faccio sempre qualche lavoretto, ripetizioni. Passano gli anni sereni.
Queste figliole, brave tutte e due, hanno fatto il liceo scientifico a Sansepolcro. Luisa ha fatto medicina, è stata a Londra e adesso lavora a Pisa, all’ospedale Cisanello, è cardiochirurgo. Fabiola abita ancora con noi, sta preparando casa per andare a convivere con il suo ragazzo, fra un mese, a maggio, penso che prende il volo, stanno aspettando un bimbo e divento nonna. Fabiola ha 27 anni, Luisa ne ha 34, Marco il più piccolo, per modo di dire, ha 21 anni, abita ancora con noi, studia al Conservatorio Cherubini, Firenze, canto lirico, basso, è al secondo anno, l’anno scorso nel saggio di fine anno ha cantato una piccola parte nel Flauto Magico e ora abbiamo il saggio del secondo anno.
Io sono estremamente felice, io sono estremamente felice eppur abbiamo avuto tante difficoltà, con mio marito però c’è stata la forza, la comprensione, l’amore, la condivisione. Noi, con Paolo, sono trentacinque anni che siamo sposati e più nove anni che siamo stati fidanzati prima di sposare e io dico sempre che mi dispiace che non ho altrettanto e più tempo da passare con lui. Mio marito è una persona speciale. È un uomo paziente, è un uomo umile, disponibile, è pieno di amore per i suoi figlioli, per me, per tutti. Come posso dire, lui, basta chiedere, parlar di una cosa che lui si impegna sempre per raggiungerla. Anche coi figlioli, mai gli ha detto: “No, questo non si fa” o “No, non vi ci porto”. Generoso, amorevole, amoroso. Con la mia mamma è stato tanto caro.
Mamma è morta, sono due anni e mezzo fa, il 4 ottobre del 2015, sì. Aveva 85 anni, è stato come se lei avesse voluto staccare la spina, era stanca di vivere. Nel 2006 ha avuto, per un tumore alla vescica, un intervento grosso, e questo le ha limitato la sua libertà e da lì ha cominciato… Però ha passato anche degli anni discreti, buoni. Circa un anno, un anno e mezzo prima della morte, ha cominciato ad andare sempre più giù e non c’è stato niente da fare. Fatte le analisi, andava tutto bene, cioè, io dico sempre, lei voleva chiudere, era stanca di vivere, era stanca di vivere. Quindi è stato un grosso dispiacere, nel senso che, dopo la sua morte, mi sono sentita con le spalle scoperte, non mi sono sentita più figlia, nel senso che ho pensato: “Sono io sulla barricata”.
Però sono stati due dolori diversi, quello del babbo è stato l’improvviso, la perdita di una persona giovane, il non poter condividere con lui tanti passi della nostra vita, la nascita dei nipoti, le gioie che ci hanno dato… . Mentre invece la mamma li ha visti tutti, ma c’è questo senso di perdita. Piano piano, uno si riprende, e poi c’è sempre questo… questa mancanza, questo…sentirti sola, sì.
Belonging in Anghiari – Paola Foni (Part 1)
Paola and her husband Paolo moved to Anghiari soon after they were married in 1983, and they still live in the house in which they raised their three children. Paola is a biologist by training, but, for almost 20 years, has worked as the street cleaner in Anghiari. She is renowned for her smile, for her joy in life. Every morning you see her hopping in and out of her ‘Ape’ (‘bee’, a small three wheeled truck common in rural Italy), moving gracefully around the piazza, as in a dance with her broom. As this was a long interview, it will be published in 2 parts. In Part 1, Paola talks about her family history, and, in Part 2, she talks about her work and her feelings about Anghiari. The interview was conducted in Italian, and kindly transcribed and translated into English by Mirella Alessio. This is an edited version.
I was born on the 10th June 1957, in Sansepolcro. I come from a family of, let’s say, operai (workers) – my father was a very good bricklayer, my mother was initially a housewife and then she worked with an aunt making beach accessories, hats, bags and so on. I grew up with my paternal grandparents, who lived at home with us, nonno Domenico and nonna Mabilia, and the relationship I had with them was very important, particularly that with my grandmother.
My grandparents both came from families who, for many generations, had been farmers. But due to, let’s say, problematic family dynamics, they left the farm (il podere), the big home, in 1955. For my grandfather in particular this was an enormous trauma, because, all his life, he had cultivated the land and he had been head of the family, being the oldest son in a patriarchal family. Then suddenly he found himself outside that context and it was a terrible blow – it was his nature to get easily demoralized. On the other hand, my grandmother, nonna Mimma, as she was known in the family, was a very resourceful person – I identify with her in many situations. Anyway, they went to live with my parents in this new, small house that my father had built. One of my father’s sisters, who wasn’t married, also lived there.
My father had another sister, an older sister, who was the pride of the family because she studied languages and graduated from Florence University in 1942, when she was just 20 years old. Then, after the war, when she was working as an interpreter in Perugia, she met her future husband, who was an American officer, of Romanian and German background. She moved with him to America, to Pennsylvania, where my uncle taught German at the university, at Wilson college, in Chambersburg. My aunt had a love of books and was a feminist, and, as a bookseller in the ’70s, she specialised in books about women artists. She donated many books to the National Museum of Women in the Arts and also to the Library of Congress, where there is a collection in her name, the Cesi Kellinger Collection.
And this is all about the family on my father’s side. My mother’s family was a big family, there were 10 brothers, lots of uncles… let’s come back to us!
I was born 2 years after my grandparents had moved into the house with my parents. I basically grew up with these grandparents, and they had a big orto (kitchen garden), and when I was little I would always be behind them, among the small plants. I loved it a lot, I really loved it, and so I learned the first rudiments of botany from them, how to recognize plants… it is a kind of sixth sense. My grandma taught me household chores, because in those days there were still jobs strictly for men and jobs strictly for women. And so, she taught me how to make pasta, tagliatelle, and sewing…
I have happy memories until, I didn’t understand it very well, but I sensed an unease at home …. My aunt had become pregnant, and, in 1960 to have a child out of wedlock was seen as shameful, rather than a celebration, as it should be. She was sent to Narni, near Perugia, to have the child, so that no-one would know, and then, a couple of years after the child was born, she came back home. But not everyone was happy about this, so the dynamics in the family were tense. And the financial situation was difficult because there were 7 of us and only my father worked. And so, all in all, memories, lights and shadows.
I started school, and at the end of the first year I got sick, and they didn’t know why – my blood parameters had plummeted. At the hospital at Arezzo they diagnosed leukaemia and told my father I had four months to live. It was a terrible shock for the family and my father lost his hair. I stayed at the hospital for over two months, went home for 2 months, then I went back to the hospital, and inexplicably I got better. It was later diagnosed as bone marrow aplasia. Slowly, slowly I restarted my life and I didn’t have any more health problems after that.
Our family life continued… in 1965 my sister was born, 8 years younger than me. Then, in 1966 our grandfather died – he had developed Parkinson’s and other health problems. My aunt and cousin lived with us until 1968 when she went to work and live (dama di compagnia) with the family of a local politician. Life was quieter, my grandma was serene… And then in 1969 she suddenly died and this… for me it was a terrible trauma, because it was I who found her – a child, seeing this nonna like that, on the floor, and I didn’t realize that there had been the event ‘death’…. Grandma died when I was 12. I decided to go to the scientific lyceum in Sansepolcro. After 5 years I had my diploma and I enrolled at university in Florence, where I studied biology.
When I was in the third year of the lyceum, I met my future husband, Paolo, who is from Pieve Santo Stefano. He is a turner and was working in Arezzo. When we met, I had to introduce him immediately to my parents, because you weren’t allowed to go out without… and so we say ‘I took him home’. We married in 1983, the year I graduated from university.
Before we married we had begun to build the house here in Anghiari, where we still live. That was in 1976. Dad had a firm with a friend, and they came here to Anghiari to finish building a house, and there was this plot of land nearby… and anyway they started to build this house, thinking they would sell it, but then, after talking it over together, they decided to keep it for their families, to share the apartments between their children. And that is why we came to Anghiari, from Sansepolcro and Pieve. We did a lot of work on the house in all our spare moments – it was like our home, our ‘nest’ for when we would be newlyweds. So, on Saturdays, Sundays, during all the holidays, we were always helping. Slowly, slowly this house was finished.
I finished my studies, we married on the 26th June’83, I graduated on the 8th of July, and on the 11th my father fell from a roof. He fell, he fell from a roof, yes. At the time it seemed a minor accident, he had a small lesion to the spine, and with rest, with care, it would resolve itself. He came home from the hospital in a cast so that he couldn’t move his back. On the eve of the 27th of July he started to feel ill, he had pains. So I called the emergency: ‘Intercostal pain due to the cast’. The following morning we called the family doctor, who gave us the same answer. The afternoon goes by, and the situation doesn’t improve, so, at 7 o’clock we call the ambulance. While waiting for the ambulance he started to feel really ill, the ambulance arrives, they got him in the ambulance and I go with him in the ambulance … we take him to the hospital …and he dies before my eyes, my dad, he dies. And… this yes, yes… I closed my father’s eyes and this has been the event that, in my life, has been a turning point, the ‘before’ and the ‘after’. I had a great rapport with my dad – he was an intelligent man who understood things, and I could talk with him about everything. When he had the firm, I helped him: I would come back from university, and I would help him tie the iron rods for the beams, for the reinforced concrete, bring him cement, sometimes I’d pick up the people who worked with him. I had a kind of collaboration with him.
So, after my father died, then, we had to close the firm, pay the suppliers, pay the workers …. At home, the situation was a tragedy – mum was very, very close to dad, so the loss of this young man was devastating. Mum was 53, my sister was 17 … and so, a tragedy. We, newlyweds, stayed at home with mum and my sister till December. Then, we moved here, into our home, and then we were expecting the birth of our first daughter, Luisa – our first joy. But, in the meantime, my way of looking at life had changed. Before dad’s death, I had given more importance to external appearances. After his death, my motto became: ‘One can find a remedy, a solution to everything, but death’ – the loss of a beloved one, for that, there is no solution, there is only a loss and a great pain … a radical change in life, a change. And then the oncoming birth of Luisa…
In those times, getting a job as a biologist, in Valtiberina would have been difficult, but anyway, I made a choice: I wanted to care for my baby daughter. Then, when our second daughter, Fabiola, was born, I also cared for her. I made the choice to be a mum. I always did some temp jobs, private tuition, but I raised the girls. These were serene years.
Both the girls did well at school – they both went to the scientific lyceum in Sansepolcro. Luisa did medicine, and now she is a heart surgeon at the Cisanello Hospital in Pisa, having also been in London. At the moment, Fabiola is living with us: she and her boyfriend are expecting a baby -. I will be a grandma – and they are preparing a flat to move into. I think that in a month, in May, she will take flight. Fabiola is 27 and Luisa is 34, and then there is Marco, the ‘smallest’, who is 21. He still lives with us, and is studying singing – he is a bass singer, in his second year at the Cherubini Conservatorio in Florence. At the moment he sings only in the concerts at the end of year, but last year he sang a small part in The Magic Flute.
I am extremely happy, extremely happy. There have been many difficulties, but, in my union with Paolo, there has been strength, understanding, love, sharing. We have been married for 35 years, plus the 9 years when we were engaged, and I always say that I am sorry that I don’t have more time to spend with him. My husband is a special person. He is a patient man, a humble man, always available, he is full of love for his kids, for me, for everybody. How can I put it… one has only to ask, if we mention something, he always dedicates himself to doing it. With his kids, he has never told them ‘No, this can’t be done’ or ‘No, I will not take you’. Generous, loving, caring. And, with my mum he was very affectionate.
My mum died two and a half years ago, on the 4th of October 2015. She was 85 years old, but it was like she … she wanted to unplug, she was tired of life. In 2006 she had surgery for bladder cancer, and that had limited her freedom, and from then on she started… But she also had some reasonably passable years, good years. Then a year, a year and a half before her death, she started to decline, and there was nothing we could do. All the medical tests were ok, but she wanted to shut down. So, it has been a deep sorrow, in the sense that, after her death, I felt unprotected, exposed. I didn’t feel like a ‘daughter’ anymore, in the sense that I felt ‘I am alone on the front line’.
This is a different kind of sorrow from that of my dad’s death. His death was unexpected; he was young, and so it was about not being able to share with him so many steps of our life, the birth of the grandchildren, the joys they gave us… Instead, mum saw them all, but there is this sense of loss. Slowly, slowly, one recovers, but then there is always this… this loss, this… in a way I feel alone, yes.
Ann and Mirella
Very touching
love Ruth ( Ann’s little sister)