Belonging in Anghiari – Don Alessandro

Appartenenza ad Anghiari – Don Alessandro Bivignani

Don Alessandro è il parroco di Anghiari. Gli sono estremamente grata perché, nonostante tutti i suoi impegni, ha trovato il tempo per questo colloquio che si è tenuto negli uffici parrocchiali accanto alla chiesa della Propositura. L’intervista si è svolta in italiano ed è stata trascritta e tradotta in inglese da Mirella Alessio. Questa è una versione editata

Sono nato il 20 novembre 1980 a Sansepolcro, ho sempre abitato a Anghiari, nella frazione di Tavernelle. I miei nonni sono radicati in questo paese, la mia famiglia da parte del padre è di Sansepolcro.

Sono cresciuto frequentando la scuola media ad Anghiari, poi l’istituto tecnico commerciale a Sansepolcro. Finita la scuola ho trovato lavoro presso una ditta bella di Anghiari, Busatti. Per noi di Anghiari è importante, per alcuni anni ho lavorato lì nell’amministrazione, in contabilità. E poi un altro lavoro invece ad Arezzo presso la diocesi, sempre nell’amministrazione. In questo periodo, dopo la scuola superiore fino a dopo, ho anche continuato a vivere anche nell’esperienza della vita della parrocchia di Anghiari. Abitavo a Tavernelle con la famiglia, la mattina lavoravo, il pomeriggio come volontariato, con i giovani, tante attività. Poi nel 2008 la scelta che mi ha portato a entrare in seminario.

Non c’è un avvenimento particolare o speciale, faccio una battuta, non c’è un’apparizione. La scelta si matura nel tempo. Ho frequentato la mia parrocchia insieme al parroco don Marco che ora è vescovo. L’impegno nella parrocchia mi ha portato a chiedermi come potevo essere utile per gli altri. Si può essere utili per gli altri nella vita in tanti modi, il mio è essere sacerdote. Dunque entrare in seminario significa riflettere per capire se questa è proprio la mia scelta di vita: lasciare il lavoro, la famiglia, iniziare il periodo di studio, di preparazione, di verifica della propria scelta. Ho frequentato l’università di teologia, nello stesso tempo uno verifica la scelta che farà. Sono diventato sacerdote il 31 ottobre 2014, 10 anni fa.

Sono stato inviato in una parrocchia della val di Chiana, Castel Fiorentino, ma nello stesso tempo ho proseguito studi superiori di teologia a Roma. Poi 5 anni fa quando don Marco ha dovuto lasciare la parrocchia per altri incarichi, sono stato assegnato ad Anghiari la mia parrocchia. Una scelta importante, bella, ma anche molto delicata perché mi son trovato a fare il parroco, a esercitare il ministero del sacerdote nel luogo dove sono cresciuto, dove tutti mi hanno visto crescere. È difficile, a volte è un vantaggio, a volte no. Ho trovato tantissima accoglienza a livello umano, perché è anche casa mia, però anche accoglienza come sacerdote, le altre persone che io non conoscevo mi hanno accolto e mi hanno aperto non solo l’amicizia, ma anche il cuore, la confidenza.

Poi poco dopo che sono arrivato, è cominciata la pandemia quindi è stato un nuovo modo di vivere, anche per il sacerdote che è sempre in mezzo alla gente, ma c’è la pandemia, le chiese erano chiuse, non c’erano le attività. È stata una situazione nella quale nessuno di noi era preparato e quindi nemmeno il sacerdote era pronto ad affrontare questo. Io pensavo quando i preti prima di me hanno vissuto il periodo del fascismo, della guerra, diverso, ma difficile, con l’obiettivo di aiutare e sostenere le persone, forse l’obiettivo era lo stesso. E allora uno deve sempre provare a rispondere a questo grande bisogno.

Allora una delle cose immediate è stata quella di attivare i canali social. Si può sempre vedere la messa nella televisione, da vari santuari, è una cosa importante per gli anziani, ma un’altra cosa è vedere la messa dalla propria chiesa parrocchiale, con il proprio parroco. Le famiglie non erano in chiesa, ma a casa propria e siamo riusciti a mantenere una relazione e una connessione spirituale. La Pasqua 2020 abbiamo celebrato la messa e le famiglie insieme, la famiglia con genitori e figli, hanno assistito guardando il telefono oppure proiettato nel televisore, nello schermo del computer e poi hanno mandato le loro fotografie di loro che guardavano la messa. Quindi è stato il modo di comunicarci e restare uniti in un tempo difficile.

Poi è arrivata l’estate e ne avevamo abbastanza del telefono. Abbiamo fatto, per noi in campagna è veramente strano, la benedizione delle case nel periodo dell’estate con il caldo, per gli anziani è un grande cambiamento, però hanno accolto con tanta gioia e speranza il prete che anche d’estate ha fatto il giro di tutte le case di Anghiari per portare una preghiera, un saluto e un incoraggiamento. Gli anziani hanno avuto tanta paura, sono stati molto segnati da questo periodo, nella generazione degli anziani ha lasciato un segno di paura e quasi di chiusura. Con gli anziani tanto tempo ci è voluto per potersi dare la mano, abbracciarsi, sappiamo quanto è difficile e importante il contatto fisico.

Per le persone che morivano, non si poteva andare in chiesa… solo un piccolo momento di preghiera molto breve nel cimitero. E sappiamo quanto questo fatto era veramente importante, noi siamo andati a ricercare tutti i nomi delle persone defunte nel periodo del Covid e abbiamo invitato ogni famiglia per un giorno particolare per venire in chiesa, per fare la messa del funerale per il loro parente. Cinquanta famiglie, un giorno la settimana dedicato a quella famiglia lì. C’è chi è venuto, forse qualcuno non è venuto, non importa: per noi, come comunità, era importante ricordarsi anche di queste persone qui. La gente ha apprezzato e partecipato.

La chiesa storicamente fa parte della vita del paese, possiamo dire che la storia del paese e la storia della chiesa qui da noi stanno insieme. Anghiari era solo un piccolissimo castello, diventa di proprietà dei monaci benedettini camaldolesi che edificano case, allargano la cinta muraria… il paese si sviluppa, vengono persone a lavorare, a abitare, cresce la comunità e insieme la comunità cristiana, nascono insieme. Poi alcuni secoli dopo arrivano gli agostiniani, fanno un’opera di educazione insegnando a leggere e scrivere, non esistevano scuole. Nel 1500 i francescani, un altro vento di spiritualità.

Il 2024 è un anno francescano, 800 anni da quando san Francesco ha ricevuto le stigmate, ma dopo è ripartito da La Verna e è passato da Anghiari, quindi noi ci sentiamo legati. La chiesa della Croce ricorda questo passaggio di Francesco. Noi diciamo sorridendo che San Francesco non è voluto entrare dentro il paese, l’ha guardato da fuori e guardandolo lo ha benedetto. Fra la nostra gente c’è un affetto particolare per san Francesco e per i frati e le suore che sono legati all’ordine francescano. Dopo 800 anni, san Francesco, possiamo dire che parla ancora con la sua semplicità, la sua forza, la povertà, il suo amore al Vangelo.

L’umiltà è decisiva, senza quella non potremmo neanche chiamarci cristiani. L’umanità è un grande popolo in cammino, poi se allarghiamo di più lo sguardo alle generazioni prima e dopo di noi, un cammino enorme, eterno e anche noi facciamo parte. Con il senso che la vita è più grande di noi, prendiamo decisioni non solo per la nostra vita personale, ma per quella comunitaria.

Per quanto riguarda il futuro, spero di non diventare mai vescovo, una vita di sofferenza, contraddizioni, difficoltà, non so se rimarrò ad Anghiari, la vita di noi sacerdoti è bella perché anche provvisoria.

Belonging in Anghiari – Don Alessandro Bivignani

Don Alessandro is the parish priest of Anghiari. Given his many commitments, I am very grateful to him for finding time to talk with me. I interviewed him in the parish offices adjacent to the church, La Propositura. The interview was conducted in Italian, and transcribed and translated into English by Mirella Alessio. This is an edited version.

I was born on 20th November 1980 in Sansepolcro. I have always lived in Anghiari, in Tavernelle. My grandparents had their roots there; the family from my father’s side comes from Sansepolcro.

I attended primary school in Anghiari and then went to the Commercial Technical Institute in Sansepolcro. After school, I found a job at Busatti, which, for us in Anghiari, is an important company – I worked there for a few years, in administration, in accounting. Then I had a job in Arezzo, with the diocese, again working in administration. During this period, and from when I left high school, I was involved in the life of the parish in Anghiari. I was living with my family in Tavernelle, working in the morning, and then volunteering in the afternoon, working with young people in a range of activities. Then, in 2008, I made the decision to enter the seminary.

No, there wasn’t a special event, there wasn’t any apparition! The choice matured with time. During that period when I was attending the parish, don Marco was the parish priest – an inspirational person… he’s now a bishop. The involvement in the parish brought me to ask myself how I could be useful to others. There are many ways in which we can be called to serve the community – my way is being a priest. Entering the seminary meant reflecting on whether this was really my life choice, it meant leaving work, family and starting a period of studies to confirm this choice. At the same time, I was attending the university of theology. On 31st October 2014 – 10 years ago – I was ordained.

I was sent to a parish in val di Chiana, Castel Fiorentino, while, at the same time, continuing my theological studies in Rome. Then, 5 years ago, when don Marco had to leave for another posting, I was assigned to Anghiari, my parish. What an important, wonderful choice, but also a very delicate situation. I found myself being a priest in the place where I grew up, where everyone had seen me growing up. So, in some ways it’s difficult – sometimes it’s an advantage that I come from here, other times, not. I was welcomed at that basic human level of being welcomed back home, but I was also welcomed as a priest, and people who didn’t know me opened to friendship, opened their hearts and took me into their confidence.

Shortly after I arrived the pandemic started and, so, there was a new way of life – a priest is usually surrounded by people but, with the pandemic, the churches were closed, there were no activities. It was a situation nobody was prepared for, not even a priest was ready to face this. I thought about the priests who had faced fascism and war – it was different but perhaps with the same concern for helping and supporting people – you must always try to respond to this big need.

The first thing we had to do was activate social channels. You can always watch the celebration of mass in different sanctuaries on tv, but, particularly for old people, it was important to see mass celebrated in your parish church with your own priest. So, although families were at home rather than in the church, we were able to maintain a relationship, and a spiritual connection. On Easter day 2020, we celebrated mass and the families, parents and children, followed us on their phones or on tv or on computers, and then they sent me photos of themselves watching mass. That was a way to communicate and stay together in a difficult time.

When summer came, we decided we had had enough of the phones and we did something that, with the heat, and in the countryside, is unusual: we blessed the homes, not only in the historical centre, but also in all the surrounding hamlets. In the summer heat we went to every house to bring a prayer, a greeting, an encouragement. For the old people it was a big change, but they welcomed us with great joy and hope. They were particularly hard-hit by this period, which left a mark of fear and closure. So, it took time to shake hands, hug each other again, and we know how important physical contact is.

We hadn’t been able to celebrate funerals in churches… only a short prayer at the cemetery. Knowing how important this is, we tracked down the names of everyone who had died during Covid and invited their families to come to church on a special day to celebrate mass for their relative. There were 50 families, and every week we had a day dedicated to a family. Some didn’t come, but it didn’t matter – for us, as a community, it was important to remember them. People appreciated it and participated.

The church is part of the city life – the history of the town and the history of the church go together. Anghiari was a small castle, then the Benedictine Camaldolese monks took over, built houses, enlarged the city walls … the city was developed, people came to work and live here, the community grew together with the Christian community. Then a few centuries later, the Augustinians arrived, they taught children to read and write – there were no schools at the time. Then, in the 16th century, the Franciscans arrived, a refreshing wind of spirituality.

2024 is a Franciscan year, the 800th anniversary of the stigmata when Francesco left La Verna and passed by Anghiari – we feel close to him. The church of La Croce commemorates the passage of Francesco. He didn’t enter the town but looked at it from afar and we say that, by doing this, he blessed it. In our community there is a special affection for San Francesco and for the monks and nuns who are connected to the Franciscan order. We can say that, after 800 years, San Francesco still talks to us with his simplicity, strength, poverty and his love for the Gospels.

Humility is decisive, without it we couldn’t even call ourselves Christians. Mankind is like a big flock on the move, and, if we broaden our vision to the generations before and after us, it’s an eternal journey in which we are taking part. With that sense that life is bigger than us, we make decisions not only for our lives but also for the future of the community.

With regard to the future, I don’t ever wish to become a bishop – a life of contradictions and difficulties, and I don’t know if I’ll remain in Anghiari – the life of us priests is wonderful, in part because it is provisional.

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